L’argomento tassazione sulle cripto valute continua a creare dubbi e perplessità.
Vogliamo quindi dare delle risposte chiare secondo il quadro normativo e le leggi attuali.
In Italia le criptovalute sono ritenute legali e sono considerate alla stregue delle valute estere.
Circa un anno fa l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la cosiddetta risoluzione 72/E per fare chiarezza in merito a bitcoin e tasse.
In questa si afferma la NON imponibilità delle plusvalenze per le persone fisiche al di fuori di società d’impresa, ovvero bitcoin (e tutte le altre criptovalute compresa ethereum, o meglio, ether) non è soggetta a tassazione per le persone fisiche.
Questo è valido, comunque, solo qualora fosse nei limiti prescritti per le valute estere, ovvero quei limiti che non possano mettere in dubbio la volontà NON speculativa della persona fisica, dimostrabile non superando la giacenza complessiva di tutti i depositi e conti correnti di 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui.
In parole povere, se fai trading con ethereum o bitcoin ma rimani sotto ai 51.645,69 euro per almeno 7 giorni e sei un soggetto privato non devi dichiarare nulla dei tuoi profitti.
Al contrario, la plusvalenza va dichiarata nella dichiarazione dei redditi qualora aziende e compagnie di ogni tipo decidessero di investire o accettare pagamenti in bitcoin e altre cripto.
Quindi, in altri termini, le aziende che fanno trading o accettano pagamenti in Ethereum e altre crypto devono dichiararne l’uso nella propria dichiarazione dei redditi e quindi pagarne le tasse.
Alcuni dubbi sulle operazioni in bitcoin ed il quadro RW – STUDIO TRIBUTARIO PEREGOSecondo quanto chiarito dalla ris. Agenzia delle Entrate 2.9.2016 n. 76, il “bitcoin” costituisce una tipologia di “criptovaluta”, utilizzata come moneta alternativa a quella tradizionale.
Ai fini delle imposte sui redditi, poi, per i soggetti che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, è stato precisato che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili, mancando la finalità speculativa.
Riguardo alla fattispecie del prelievo della valuta dai conti o depositi, si osserva che l’art. 67 co. 1-ter del TUIR stabilisce che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo di imposta in cui esse sono realizzate attraverso il prelievo dal deposito o dal conto, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso tutti gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui.
Ciò significa che il prelievo in banconote o monete estere da un conto corrente rileva fiscalmente, mentre il successivo utilizzo come mezzo di pagamento o la successiva conversione in euro o altra valuta, virtuale o convenzionale non costituisce presupposto imponibile.
Considerato che la moneta elettronica costituisce un “surrogato” dei contanti, si osserva che l’acquisto di valuta virtuale contro valute estere (per esempio dollari) provenienti da conti correnti equivale infatti al prelievo della valuta estera (i dollari) dal conto che potrebbe generare reddito imponibile.
Passando alla compilazione del quadro RW:
– partendo dall’assunto che la moneta virtuale deve essere trattata allo stesso modo, la loro detenzione non è soggetta ad IVAFE, in quanto non si tratta di prodotti finanziari;
– è dubbio se tali attività debbano essere dichiarate ai fini del monitoraggio fiscale, in quanto la mera cessione di bitcoin non genera reddito imponibile per i soggetti non imprenditori.